Il recinto delle femmine

Seduti e cagionevoli, fuori da uno degli abituali bar, uno di quelli che ci ignora, condizione di beatitudine, procrastiniamo da circa tre ore l’inizio di questa lamentazione. Dietro di noi, opportunamente, giovani malvestiti e patriarcali impongono l’ascolto dei loro canti in falsetto, meno giovani e meno malvestiti ma ugualmente patriarcali impongono l’ascolto di confidenze urlate e, in lontananza, vecchi inverecondi e, bontà loro, ebbri, esalano bestemmie. Un balsamo per l’anima.

Sono passati pochi giorni dalla nostra prima uscita post-covid e ancora abbiamo i denti lunghi (condizione di profondo ed evidente non-ho-piacere), e li avremo ancora per molto.
Eravamo partiti col buon proposito di essere magnanimi e accomodanti, cari quattro lettori, ma sprecare in questo modo la luminosa e tanto attesa presenza di Lorenzo Gasparrini nel ventoso suolo natio ci è apparsa imperdonabile.

Lorenzo Gasparrini con le sue pubblicazioni sta colmando un inquietante e clamoroso vuoto editoriale rispetto al genere maschile: partendo dalle pratiche e dalle filosofie legate ai femminismi mette in discussione la costruzione del genere, il linguaggio e il suo sessismo strutturale, il rifiuto e le dinamiche che lo rendono inaccettabile in un’ottica di privilegio patriarcale. La sua ultima pubblicazione, nonché oggetto di presentazione, sfata il dogma consolidato che vorrebbe i femminismi cose di donne e per le donne, affermando la loro utilità anche in un percorso di liberazione maschile dal patriarcato.
Noi lo amiamo molto per questo, e Filippo lo considera fonte di ispirazione e di conforto nel suo percorso di costruzione di maschilità liberata e consapevole.

Potete immaginare, cari quattro lettori, la nostra gioia al pensiero di ascoltare parole che ci avrebbero dato nuovi spunti di riflessione e di consolazione in questo brutto mondo patriarcale pieno di Augias e di Morelli e, non ultimo, già sentivamo frusciare tra le nostre cupide manine il nuovo libro, che immaginavamo già di compulsare avidamente quella notte stessa, nel buio delle nostre camerette.

Avevamo preso per buon segno il peculiare nome dell’evento, che a noi sembrava un provocatorio rimando a stereotipi maschili, con l’aggiunta di quella parola con la F, impronunciabile in pubblico ma a noi tanto cara, il femminismo. Vivendo in una società patriarcale parlare di femminismo può diventare insidioso: si corre il rischio di evocare il recinto delle femmine. È ovvio che le femministe parlino del privilegio maschile e cerchino di sovvertirlo ma, fintanto che il problema del patriarcato non viene assunto anche dagli uomini, non ci sarà dialogo ma lotta. Ed è altrettanto vero che una presa di parola da parte degli uomini non è sufficiente senza una profonda contezza della problematicità del patriarcato anche per il genere maschile. Se l’uomo prende parola senza tenere conto della non neutralità del proprio genere finirà per parlare per conto di, continuando ad esercitare il potere. Per aprire un dialogo fruttuoso è necessaria una liberazione maschile dal discorso dominante del patriarcato. La forza di Gasparrini sta proprio nell’aver praticato da uomo il femminismo, squarciando il velo di incomunicabilità tra generi. Inoltre, come scrittore e divulgatore di filosofie, teorie e pratiche femministe, ha il notevole pregio di essere fruibile e godibile sia per le neofite e i neofiti che per chi ha già esperienza rispetto a questi temi, per la sua chiarezza, immediatezza e onestà intellettuale.

Cosa è accaduto di grave? È accaduto che, data questa condizione di partenza e questa aspettativa, che sapevamo non sarebbe stata disattesa, ci siamo trovati di fronte a un’organizzazione e una conduzione di un evento che invece ha appiattito e ridotto enormemente la portata e la potenzialità della scintilla che avrebbe potuto creare. Ovviamente non stiamo dilapidando il nostro tempo e le nostre energie per metterci su un piedistallo e fare gerarchie di competenze, anzi, stiamo impiegando il nostro tempo e le nostre energie per sottolineare che vorremmo che le teorie e le pratiche femministe diventassero un patrimonio di saperi fruibili a tutte e tutti. In questo tempo così impoverito e ancora così intriso di cattivi maestri e cattive maestre vorremmo che le parole di Gasparrini fossero ascoltate e non fraintese, che servissero a creare una gemma di consapevolezza della reale portata del problema. Vorremmo dire, anche, che non sono problemi a senso unico, ma sono diversificati, stratificati. Per fare questo occorre agire con metodo e con cura, senza fare confusione tra i piani. Ed è proprio questo che non è successo, togliendo tempo e spazio rispetto all’analisi dell’opera di Gasparrini, riproducendo una modalità di narrazione problematica e mainstream incentrata sulla donna e la sua vittimizzazione intesa come dato emergenziale e ineluttabile. Non possiamo fare a meno di scrivere che quanto abbiamo ascoltato ci fa problema, la tipizzazione della femminista come figura aggressiva e inaccogliente al confronto, la stereo tipizzazione della donna vittima e forte, l’empowering visto come unica fonte di salvezza a fronte della violenza, il fatto che si affronti sempre il dato visibile dell’emergenza tralasciando il problema strutturale di un patriarcato sommerso ed endemico. Le sagge e sensate parole di Gasparrini si sono perse in un mare di banalità, e nulla è più dannoso della banalità. Se aggiungiamo il fatto di trovarci in un luogo poco alfabetizzato ai femminismi e ai discorsi di genere, la banalità diventa anche colpevole. Presentare Perché il femminismo serve anche agli uomini poteva essere un piccolo atto sovversivo, data anche l’insolita presenza di un pubblico maschile, giovane, in qualche modo politicizzato, ma si è miseramente disinnescato.